La selezione di strumenti d’investimento è diventata un esercizio sempre più complesso, stretto tra proliferazione di fondi, normative pervasive e clienti che chiedono trasparenza, oltre alle performance. La Quantitative Dashboard di FIDAworkstation si propone come bussola per asset manager, consulenti e family office: un ambiente analitico che consente di costruire peer group, definire scorecard multicriteriali e trasformare dati grezzi in ranking e visualizzazioni sofisticate. Un metodo che rende replicabile, difendibile e comunicabile ogni scelta di portafoglio.
Il consulente finanziario moderno si muove in un terreno accidentato, dove la proliferazione di fondi, ETF e veicoli di investimento rischia di trasformarsi in un mare magnum ingestibile. Non basta più osservare qualche indicatore di rendimento o aggrapparsi al comfort di un benchmark di settore: la pressione regolamentare, i vincoli di trasparenza imposti dalla MiFID II e dalle normative ESG, unita alle esigenze di clientela sofisticata e iperinformata, rendono l’attività di selezione strumenti un esercizio che sfiora la filologia comparata. Ogni scelta dev’essere giustificata, documentata e soprattutto verificabile.
Eppure, gli strumenti di lavoro di molti professionisti restano ancorati a logiche da foglio Excel, con confronti binari, schede prodotto isolate e ranking estemporanei. È come pretendere di navigare un oceano in tempesta affidandosi a un sestante arrugginito.
La promessa della Quantitative Dashboard
In questo scenario si inserisce la Quantitative Dashboard di FIDAworkstation, concepita non come l’ennesimo cruscotto di numeri ma come un laboratorio comparativo. L’idea è chiara: offrire a promotori, asset manager e private banker una piattaforma che consenta di passare dalla contemplazione passiva dei dati alla costruzione attiva di ranking ponderati e replicabili. Non un software che decide al posto dell’analista, bensì un amplificatore della sua capacità critica.
Dal peer group allo score
Il percorso analitico parte dalla definizione del peer group, ossia l’universo di strumenti da osservare. Non è un dettaglio marginale: la scelta di includere un’intera categoria o solo alcuni fondi è già un atto interpretativo. La piattaforma consente di fissare una data di riferimento, di stabilire se uniformare le valute o lasciare che ogni strumento “parli” nella propria lingua monetaria, e infine di comporre il gruppo più opportuno grazie al motore di ricerca interno.

Fonte: FIDAworkstation
Una volta delimitato il perimetro, l’analista seleziona le lenti attraverso cui osservare gli strumenti. La ricchezza è duplice: da un lato la varietà delle analisi – anagrafiche, CAPM (Capital Asset Pricing Model), costi, ESG, FIDArating, indicatori di rischio e rendimento – dall’altro la possibilità di attribuire un peso differenziato a ciascun indicatore. È questo il cuore metodologico: la costruzione di una scorecard multicriteriale che riflette la filosofia di chi analizza.

Fonte: FIDAworkstation
Per esempio, in una logica orientata alla raccolta, un consulente potrebbe dare il 60% di peso alla performance corretta per il rischio (Sharpe ratio o Information ratio), il 20% ai costi correnti e il restante 20% a parametri ESG, cavalcando l’onda normativa e reputazionale che ormai investe qualsiasi mandato di gestione. In alternativa, un family office più prudente potrebbe invertire le proporzioni, enfatizzando volatilità e drawdown massimo rispetto a ogni promessa di rendimento.

Fonte: FIDAworkstation
Il ruolo del benchmark
Non tutti gli indicatori vivono di luce propria. Alcuni, come l’alfa o il tracking error, richiedono la presenza di un benchmark per assumere senso. La piattaforma consente di selezionarlo agilmente, restituendo così misure relative che mettono in evidenza il valore aggiunto – o sottratto – di una gestione rispetto al mercato di riferimento. È qui che si distingue la capacità dell’analista: scegliere il benchmark giusto significa decidere quale sia la “verità di contesto” contro cui misurare la coerenza di uno strumento.
Dalla tabella al pattern
L’elaborazione genera una tabella che, a prima vista, potrebbe sembrare simile a tante altre. Ma non bisogna lasciarsi ingannare. Le colonne finali – quintile, ranking, score – trasformano i dati in informazione comparabile e immediatamente interpretabile. L’obiettivo non è più fornire l’elenco infinito di rendimenti e volatilità, bensì un sistema di posizionamento relativo che ordina l’universo osservato.

Fonte: FIDAworkstation
La forza della dashboard si esprime poi nella dimensione visuale. Scatter plot, istogrammi, boxplot, curve di montante: il ventaglio di grafici disponibili rappresenta una gamma di strumenti cognitivi che permettono di cogliere pattern invisibili alla mera tabella. Una distribuzione di frequenza può mostrare se i rendimenti sono frutto di pochi exploit isolati o di una solidità diffusa; un grafico a dispersione mette a nudo la relazione rischio-rendimento in modo più eloquente di qualsiasi riga di Excel.

Fonte: FIDAworkstation

Fonte: FIDAworkstation
Una filosofia di metodo
La Quantitative Dashboard non pretende di fornire la “risposta giusta”, ma induce il professionista a esplicitare le proprie ipotesi. Quali criteri contano di più, quali meno, e perché. In questo senso, è uno strumento profondamente coerente con la filosofia normativa europea: trasparenza, documentabilità, accountability.
Chi la utilizza non delega la propria responsabilità a un algoritmo, ma si dota di una struttura che rende replicabile e difendibile il proprio processo decisionale. In un’epoca in cui i clienti chiedono non solo performance ma anche narrazioni convincenti, la capacità di mostrare un percorso analitico chiaro diventa un vantaggio competitivo.
Monica F. Zerbinati
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