L’analisi del rischio di un portafoglio finanziario è l’attività che ha come obiettivo l’identificazione delle possibili perdite future analizzando il comportamento del valore degli asset nel passato, tramite la quantificazione di una serie di misure di rischio che hanno l’obiettivo di sintetizzare numericamente l’effettiva rischiosità di uno o più strumenti. Tra queste misure, sicuramente la più diffusa è la deviazione standard dei rendimenti, indicatore utilizzatissimo nel settore degli investimenti. Questo indice della rischiosità ha però alcuni difetti fondamentali.
La deviazione standard, infatti, equipara le variazioni positive del valore dell’investimento alle variazioni negative, considerando le prime ugualmente poco desiderabili quanto le seconde. Inoltre, questo indicatore sintetizza semplicemente la dispersione dei rendimenti rispetto alla loro stessa media, senza la possibilità di quantificare in valore assoluto la perdita presunta futura. Date queste limitazioni, inizialmente in ambito bancario e poi successivamente nella prassi finanziaria si è gradualmente diffusa una nuova misura di rischio che ha come obbiettivo la determinazione della perdita presunta di uno o più asset in un dato periodo temporale futuro: il Value at Risk (VaR).
Questo indicatore, espresso in valore assoluto o in percentuale rispetto al valore complessivo degli asset, misura nello specifico la massima perdita attesa di un investimento ad un dato livello di confidenza, che rappresenta la probabilità che le perdite effettive siano inferiori o uguali al VaR. Ad esempio, un VaR di 50.000 € con un livello di confidenza del 95% e un orizzonte temporale di una settimana indica che la probabilità che perdite effettive non superino i 50.000 € nella prossima settimana è del 95%. Valutare in questo modo il rischio permette di concentrarsi esclusivamente sulle perdite, con una misurazione che tiene conto anche dell’orizzonte temporale di investimento e della tolleranza al rischio dell’investitore.
Riguardo la stima del VaR, le tecniche che si possono utilizzare sono molteplici, si basano su diverse assunzioni e ognuna di esse presenta sia pregi sia difetti. La più comune ancora oggi è il metodo parametrico, che utilizza come base per il calcolo la deviazione standard dei rendimenti assumendo che i rendimenti siano distribuiti normalmente. Non volendo entrare troppo nel dettaglio, per il calcolo del VaR per un singolo strumento finanziario questo metodo prevede l’utilizzo di una formula chiusa, che può essere scritta come:
con:
- V valore dell’asset considerato;
- α livello di confidenza prescelto;
- zα valore della distribuzione cumulata inversa della normale standardizzata al livello di confidenza α, desumibile dalle apposite tabelle o tramite la funzione Excel INV.NORM.ST();
- t numero di periodi nell’orizzonte temporale considerato.
Il calcolo parametrico si basa quindi interamente sulla deviazione standard, con il vantaggio di poter utilizzare un calcolo relativamente semplice ma comportando tutti i difetti relativi all’assunzione di una distribuzione normale dei rendimenti, quali, ad esempio, l’impossibilità di considerare eventuali asimmetrie nella distribuzione e la possibile sottostima della perdita dovuta ad una maggiore frequenza effettiva delle perdite estreme rispetto a quelle stimate attraverso la normale.
Un’altra famiglia di metodi di stima del VaR sono i metodi basati su simulazioni: questo insieme di metodologie si basa sull’osservazione o sulla generazione di numerosi scenari alternativi dei rendimenti nell’orizzonte temporale considerato, tra i quali viene selezionato lo scenario corrispondente al livello di confidenza desiderato.
Il metodo per ottenere l’insieme di scenari da analizzare può basarsi su dati storici o simulati attraverso simulazioni Monte Carlo, che partendo da un’ipotesi sul comportamento futuro dei rendimenti tentano di simularne l’andamento in un’ottica forward looking. Questi metodi, più flessibili e, almeno teoricamente, più aderenti alla realtà, sono però spesso più pesanti da un punto di vista computazionale rispetto ai metodi parametrici e spesso i risultati dipendono in larga parte dalle assunzioni alla base del modello di simulazione.
In conclusione, il Value at Risk si presenta come una misura più puntuale e diretta alla quantificazione delle perdite: nonostante gli evidenti vantaggi, i valori trovati attraverso i metodi che abbiamo descritto non considerano tutto lo spettro di perdite possibili, ma esclusivamente quella coincidente con il livello di confidenza, escludendo tutte le perdite superiori che in casi estremi potrebbero comunque verificarsi. Aldilà di questo problema, però, il Value at Risk è sicuramente una misura di rischio ampiamente diffusa e utilizzata, che offre un informativa importante sul grado di rischio di un investimento.
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